Se ti capita di ascoltare la sua storia, ti potrebbe sembrare un personaggio inventato, e invece è il nostro Umano #0.2. Certo, non è facile riuscire a togliere dalla strada senzatetto, procurare ogni tipo di sostegno a profughi nullatenenti o dialogare con persone dimenticate che si trovano ai margini della società… Non è facile soprattutto quando ci si mette di mezzo anche una malattia degenerativa rara che ti costringe a sederti in carrozzina a 29 anni. Eppure tutto questo è quello che ha vissuto Ninfa Monteleone e questa è la sua storia.
Dall’aiuto per sé alla dedizione per gli altri
Mamma Anna soffre di diabete e, quando non è in ospedale, sfoga su Ninfa tutta la frustrazione dell’aver avuto quella figlia fuori dal matrimonio: questo pensiero la ossessiona. Quando poi la nostra protagonista compie 6 anni, il padre sposa un’altra donna, abbandonando la famiglia. Rimane così da sola con sua madre, subendo manifestazioni d’affetto quasi patologico a scoppi d’ira incontenibili. Invece che al parco, dove sua mamma non l’accompagna mai, la piccola passa i pomeriggi in sella alla sua bicicletta, esplorando spesso il campo Rom vicino casa, affascinata dalla vita fuori dagli schemi dei suoi abitanti. Nonostante il rapporto conflittuale, Ninfa assiste comunque al percorso di cura di mamma Anna, che soffre anche di depressione.
Eppure una persona che dona speranza a Ninfa c’è: Albino. È lui ad ospitarla durante i giorni in cui la madre è in ospedale ed è sempre lui a educarla all’attitudine resiliente con questa frase:

Ad ogni problema c’è una soluzione!
L’esperienza con la mamma e l’insegnamento di Albino le infondono una particolare propensione per la cura degli altri, così Ninfa sceglie di studiare presso l’Istituto dei Tumori. Gli studi le regalano grandi soddisfazioni e già a 20 anni è responsabile per la formulazione dei protocolli infermieristici presso l’Istituto Europeo di Oncologia.
La rottura dell’equilibrio e la nuova stabilità
Vince l’importante concorso di infermieristica, e lavora nel campo della neurorianimazione con entusiasmo. Con l’avanzare di problemi di salute deve rinunciare alla corsia optando per un lavoro di ufficio sempre al Besta. Presto però si licenzia e torna a fare l’infermiera presso il carcere di Opera. Qui il primo contatto con le persone che lei chiama amabilmente “disagiati come me”, in cui la sua perspicacia empatica si dimostra fondamentale per comprendere le storie che incontra tutti i giorni. Quando la malattia peggiora, e deve quindi rinunciare anche ad Opera, trova lavoro presso Publitalia. Il lavoro d’ufficio non le piace, ma la malattia le ha tolto quello che più le serve per aiutare nel modo per lei più congeniale, cioè il libero movimento. Riesce a lavorare e a rimanere autonoma, che per lei è fondamentale.
A volte fa fatica a camminare, le capita di inciampare e anche di cadere. Non passa molto tempo che si ritrova ad affrontare infezioni violente e conseguenti ricoveri in ospedale senza un apparente motivo. Nel 2001 muore la madre e nello stesso anno rischia l’amputazione di un piede per un’osteomielite. Il piede si salva ma non può camminare per sei mesi, e la diagnosi definitiva ancora non arriva. Siamo nel 2005 e un giorno, il piede non si muove più. La malattia invade pian piano anche le gambe e più tardi anche le braccia; ormai qualunque azione quotidiana risulta faticosa. Dopo tutori e stampelle, all’età di 29 anni deve sedersi in carrozzina. Nel 2007, tramite una biopsia del muscolo presso il San Raffaele, la malattia acquista finalmente un nome: Miopatia da accumulo di lipidi.
Questa malattia è molto rara e difficile da diagnosticare, trasmessa da carattere recessivo, che di solito colpisce la pelle e i muscoli dei soggetti con intensità variabile. Tende ad evolvere lentamente e non tutti i soggetti riescono a raggiungere l’età adulta. Al momento le cure possono solo alleviare i sintomi.
Solcare le difficoltà con la carrozzina
Al mezzanino della Centrale
Memore della missione abbracciata con l’infermieristica e delle storie di vita testimoniate a Opera, Ninfa non rinuncia al suo posto nel mondo: lei vuole mettersi in relazione con le persone e dare una mano. L’occasione per rimettersi in campo non manca: 2014, la Stazione Centrale di Milano vede arrivare migliaia di persone che fuggono dalla guerra civile siriana. Dieci sono, all’inizio, i volontari che si occupano di offrire una prima accoglienza a questi profughi e tra loro è presente proprio Ninfa. A chi si ritrova sulle gelide panchine di marmo senza nulla, e che magari ha perso persone care anche durante il lungo viaggio, non servono solo beni materiali di prima necessità, ma anche un’affettuosa compagnia che allevia i traumi e il disorientamento. Dal mezzanino della Centrale vengono smistati poi in centri di accoglienza, tra cui quello di Quarto Oggiaro: la prossima tappa della nostra protagonista.
A Quarto Oggiaro
Perché Ninfa scelga proprio questo quartiere di Milano, trasferendosi lì, è presto detto dalla accurata descrizione che ne fa il giornalista Giorgio Bocca:

Sono trenta e passa anni che di questo quartiere di Milano nato povero e scalognato non si occupava nessuno, ma da quando i giornali e le televisioni hanno detto che questo è un ghetto di spacciatori fuori dallo Stato siamo tutti qui…
Hanno scritto che in questo quartiere non c’era lo Stato.
E’ vero ma non c’erano neanche i cittadini.
Questo articolo è del 1991 e la situazione all’arrivo di Ninfa non è poi tanto cambiata. Di fronte al centro accoglienza c’è la sede dei servizi sociali, e proprio lì non perde occasione di parlare con le persone in fila. Disoccupati, padri separati, accumulatori seriali, tossici, malati psichiatrici… Insomma, altri profughi, ma che fuggono da situazioni di disagio più vicine a noi.
Ecco una scoperta sorprendente: la sua carrozzina elettrica accorcia le distanze tra lei e queste persone smarrite.

Ninfa ha così l’idea di fondare un’associazione dove poter diffondere la solidarietà verso chi si sente dimenticato e vive ai margini della società: nasce nello stesso anno Social Life. In questo prezioso luogo di ritrovo vengono forniti cibo, materiale scolastico, vestiti e soprattutto accoglienza. La rete sociale si espande a macchia d’olio e porta finalmente le basi di un cambiamento concreto. Marina, ad esempio, viveva tra le rovine di Villa Caimi mentre ora abita in una casa popolare. Selvaggia invece è il nome di una bambina, figlia di una persona tossicodipendente che non era in condizione di prendersene cura; indovinate chi passa tre giorni all’ospedale pediatrico Buzzi facendole da mamma? Esatto, la nostra Ninfa. Sarà lei a trovarle poi la famiglia da cui verrà adottata. Gli anni trascorrono su e giù per i mezzi di Milano, con imprese all’ordine del giorno che hanno un che di incredibile, come quando deve trasportare un materasso sul ponte della Ghisolfa a bordo della sua carrozzina. Riesce sempre la sua autonomia, vivendo al quinto piano di un palazzone con i suoi due cani addestrati, Poppy e Grace, mentre al mattino e alla sera c’è un assistente che l’aiuta ad alzarsi e a mettersi a letto. La sua personalità travolgente e la sua tenacia fanno quasi dimenticare la disabilità, ma la malattia purtroppo non l’abbandona.
A Lido Adriano
Grazie al suo lavoro come volontaria per Telethon, Ninfa ha l’occasione di conoscere il professor Corrado Angelini del San Camillo a Lido di Venezia. Dopo dieci anni viene finalmente trovata la causa della sua malattia e si comincia con terapie più mirate, anche se ormai è tardi per recuperare alcune funzioni motorie. Nel 2017 trascorre quattro lunghi mesi in ospedale al Lido, durante i quali si fa strada una nuova idea. Decide di trasferirsi in provincia di Ravenna, a Lido di Adriano, per prendersi una pausa dal cemento, dal disordine e dal frastuono di Quarto Oggiaro in favore di pace e tranquillità in un luogo immerso nella natura. Ma Ninfa è Ninfa, e dopo qualche pomeriggio in spiaggia, con Poppy e Grace che corrono spensierate, si accorge di poter essere d’aiuto anche qui. Parla con le mamme del paese, si mette in contatto con associazioni locali e l’amministrazione comunale… comincia a delineare il vuoto sociale che è pronta a colmare. Coinvolge la comunità, in particolare i ragazzi, con iniziative utili come la pulizia di strade e spiagge, riesce a sensibilizzare sul problema del bullismo e a far intervenire i carabinieri in più episodi e inoltre, con la presidente di ANMIC Ravenna, porta alla luce l’importanza dell’inclusività verso le persone disabili. C’è molto da fare se nemmeno i mezzi pubblici sono accessibili per loro! Nel frattempo prende anche l’abilitazione all’addestramento dei quattrozampe per persone come lei. Tutti i giorni Ninfa si impegna in ogni ambito in cui intravede un possibile miglioramento, avendo la lungimiranza di occuparsi di chi troppo spesso viene dimenticato.



Ninfa ha voluto raccontare la sua storia per spronare a trovare sempre soluzioni alternative, anche quando sembra impossibile, e per far sentire meno soli “i disagiati” come lei, ai quali non mancherà sostegno fino a che esisteranno Umani come lei.
Lei è Ninfa Monteleone
E tu? Che Razza di Umano sei?!
Vuoi saperne ancora di più sulla vita della nostra Umana #0.2? Allora ascolta il nostro podcast (o leggilo qui) e immergerti ulteriormente nella storia dei nostri resilienti umani!